martedì, novembre 30, 2010

Dubbi


"Se non fai domande e non risolvi i tuoi dubbi, non puoi disperdere le oscure nuvole dell'illusione, così come non potresti percorrere mille miglia senza gambe." ("Lettera a Niiike" - Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, vol. I, pag. 915)


Come dice Nichiren, il fatto di fare o farsi delle domande per risolvere i propri dubbi è importantissimo: ci porta a disperdere le illusioni e l'oscurità lungo il nostro percorso. A volte però ci sono dubbi e domande inespresse, che abbiamo dentro e che non osiamo formulare, talvolta neanche a noi stessi. Questo porta a fermarsi, a perdere la sintonia, forse anche la fede. Non esistono domande scorrette: al fondo di ogni domanda c'è un dubbio, al fondo di ogni dubbio c'è un desiderio di capire, di affidarci, di rivoluzionare la nostra vita. Per questo le domande sono preziose, e vanno accolte tutte, senza preclusioni, purché fatte senza spirito polemico ma con spirito di ricerca.


Tempo fa un amico mi scrisse: "Che ne pensi del dubbio? In questo periodo mi capita di guardare al Gohonzon e di fare Daimoku con il dubbio. Mi piacerebbe avere qualche beneficio, ma non faccio azioni, anche perché non so bene che azioni fare. Ho paura che questo dubbio sulla fede finira' per farmi smettere di praticare..."


Penso che il dubbio sia una cosa positiva, perché porta a mettere sempre tutto in discussione, a non adagiarsi su certezze acquisite una volta per tutte: la vita è costante cambiamento, non ci si può fossilizzare su nulla, altrimenti ci si ferma. Tuttavia credo che la forma migliore di dubbio sia quella che porta a dubitare di sé stessi, cioè a non credere di avere la verità assoluta, a non credersi mai del tutto "arrivati". Sono perfettamente d'accordo con Ikeda che parla di volo continuo, che spiega la buddità come un processo continuo, una via, un percorso, e non come qualcosa di acquisito una volta per tutte. In questo senso il "dubbio" equivale ad una costante apertura del cuore e della mente, ad un'incertezza salvifica. Esiste, però, un altro tipo di dubbio: quello che ti frena, che ti immobilizza, che non ti fa prendere decisioni, che ti fa naufragare nell'incertezza, che ti ruba entusiasmo, fede, amore, energia. In un certo senso anche quello ha un aspetto positivo, a patto di non lasciarsene dominare. Intendo dire che è un chiaro segnale della necessità di cambiare, di cercare una integrazione superiore, di crescere: è un segnale che ci indica con una certa precisione dove bisogna lavorare. Personalmente, quando la mia pratica diventa sterile, monotona, quando non mi dice più niente, invece di pensare che il Gohonzon o il Daimoku o l'organizzazione abbiano qualcosa che non va, che non funziona (ho fatto anche questo!), cerco di capire dove e in che modo posso approfondire il mio atteggiamento per ritrovare fede, entusiasmo, eccetera; dove eventualmente sto sbagliando o dove sono insufficiente, dove mi sto "chiudendo". Il Gohonzon, il Daimoku e l'organizzazione possono benissimo essere limitati e avere delle mancanze, dei difetti, anzi sicuramente li hanno - soprattutto nel loro aspetto formale, esteriore, superficiale. Il punto, però, è che essi - nel profondo - indicano qualcosa che io dovrei poter raggiungere, qualcosa che sta dentro di me. Ecco, se c'è una cosa di cui non dubito mai, è che esista un qualcosa di superiore nella vita e in me stesso, in tutti noi, sento che c'è. Da questo punto di vista posso condividere quell'affermazione che dice: "fede significa non avere dubbi". Non avere dubbi, cioè, che esista un "senso" nella vita, che in noi ci sia un potenziale positivo che può essere raggiunto e risvegliato, e che siamo tutti collegati profondamente in una unità fondamentale. Tutto il resto è accessorio, secondario, può cambiare, può e deve essere messo in discussione come qualsiasi concezione umana, che è limitata, che attraversa fasi di cambiamento e di trasformazione. La cosa importante è riuscire, di volta in volta, a centrarci, a ritrovare quella cosa fondamentale che, per noi, significa speranza, energia, entusiasmo, apertura, amore.

mercoledì, luglio 21, 2010

I tesori del cuore.


"Più preziosi dei tesori di un forziere sono i tesori del corpo e prima dei tesori del corpo vengono quelli del cuore." (dal Gosho "I tre tipi di tesori"- Raccolta degli Scritti di Nichiren Daishonin vol. 1, pag. 752 e segg.)


Forziere, corpo, cuore... Ricordiamo che per gli estremo-orientali la parola "cuore" indica anche la mente e, comunque, l'intimo di un individuo, lo spirito. Il fatto che i valori spirituali siano più importanti di quelli materiali e fisici è un concetto molto noto, sottolineato un pò da tutte le filosofie e religioni. La domanda è: siccome il buddismo del Daishonin, lo sappiamo, ha spesso un punto di vista "nuovo", rivoluzionario, come dobbiamo intendere il senso della frase citata? E' analogo a quello che ci sentiamo sempre ripetere, cieè che l'interiorità contiene tesori molto più grandi e meritevoli di ricerca dell'esteriorità - essendo questi ultimi limitati, transitori e deperibili? Indubbiamente per certi versi è così - e non è un insegnamento da poco, visto che normalmente esso viene disatteso e che, soprattutto nella nostra società edonistica o "post-edonistica", si razzola molto male da questo punto di vista. Però non dimentichiamo che il buddismo, e il buddismo del Sutra del Loto in particolare, non fa una vera divisione fra interiore ed esteriore, fra spirito e materia, fra corpo e mente - considerando gli opposti come estremi di una polarità complementare. Nichiren non intende assolutamente deprezzare i benefici concreti e visibili per indirizzare verso quelli invisibili e interiori - semplicemente perché essi sono la stessa cosa, entrambi sono la manifestazione del nostro karma e della nostra individualità. Per questo motivo egli, anche in questo Gosho, continua ad esortare Shijio Kingo a perseverare con saggezza nella difficile situazione in cui si trova - essendo caduto in disgrazia agli occhi del suo signore feudale - al fine di recuperarne la considerazione e i favori. Non gli sta dicendo di rifugiarsi nei valori spirituali perché le altre cose non hanno importanza oppure sono dannose perché portano in una direzione opposta, materiale! Tuttavia gli dice che i tesori del cuore vengono prima, che la lotta di Kingo contro le calunnie e le offese dev'essere innanzitutto volta a recuperare un giusto atteggiamento interiore, del cuore appunto, fatto di correttezza, prudenza, considerazione, saggezza. Shijo Kingo, in realtà, avrebbe la tendenza a reagire alla situazione con rabbia e impulsività, magari anche col profondo timore di essere una vittima delle circostanze, con la depressione. E' proprio lì che sta il suo karma. Nichiren, con compassione e con parole affettuose, cerca di indirizzarlo verso una pacificazione mentale, offrendogli con esempi e ragionamenti la sicurezza in sé stesso, nel cammino intrapreso e nella filosofia del Sutra del Loto. Arriva perfino a dirgli: "Se tu dovessi cadere nell'inferno per qualche grave colpa, anche se Shakyamuni mi invitasse a diventare un Budda, io rifiuterei: preferirei venire all'inferno con te. Perché, se cadiamo nell'inferno insieme, troveremo là il Budda Shakyamuni e il Sutra del Loto." Come se gli dicesse: anche se fossi giudicato male da tutti e se ogni circostanza fosse contro di te, ti sei comunque conquistato la mia amicizia e il mio profondo affetto - e nulla potrà distruggerli. Anche se non avessi più nulla avresti comunque questo, e insieme potremmo ricominciare, perchè io sono con te, pronto a condividere il tuo stesso destino. Il dono dell'amicizia è veramente un grande incoraggiamento! Recuperati i tesori del cuore, ogni difficoltà può essere affrontata, ogni inferno cambia aspetto, diventa fruibile, utilizzabile, può essere trasformato. Ecco il punto di vista rivoluzionario del buddismo di Nichiren: prima cambia te stesso, la tua consapevolezza, trova il valore in te stesso: poi agisci, lotta, trasforma le circostanze e conquista, se è il caso, anche i tesori del "corpo" e - perché no - quelli del "forziere". Tutto nella vita ha un valore e un suo giusto posto, nulla va disprezzato o accantonato, ogni cosa è parte della nostra rivoluzione. Però... prima dobbiamo ritrovarci, fare pace con noi stessi, crescere, recuperare il senso mistico della vita. Per noi che pratichiamo tutto ciò significa innanzitutto recitare davanti al Gohonzon per sintonizzarci con l'universo e con il cuore! Shijo Kingo, pur nelle difficoltà sovrastanti, ha fatto proprio così, ha prima di tutto recuperato i tesori del suo cuore. Solo dopo gli sono arrivati anche gli altri benefici, gli altri tesori...

mercoledì, maggio 19, 2010

Fragranza interna





"Il Buddismo insegna che la fragranza interna otterrà protezione esterna. Questo è uno dei suoi princìpi più importanti."
(dal Gosho "I tre tipi di tesori" - Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 1, pag. 752 - Esperia)
Il nostro atteggiamento interiore, psichico e spirituale, il cui aroma è frutto di un intimo lavorìo, si rende tuttavia percepibile all'esterno. In effetti si può dire che l'essenza di una persona traspare, trasuda, è avvertibile in forma abbastanza distinta, "a pelle". Naturalmente questo tipo di impressioni che abbiamo nel rapportarci agli altri è anche erroneo o fuorviante, cioè possiamo avere una reazione legata solamente ai nostri pregiudizi. Nonostante ciò, le impressioni che abbiamo degli altri sono spesso abbastanza corrette, fornendo una sorta di sintesi dello stato emotivo o psichico di un nostro interlocutore. Tale percezione, però, non è sempre cosciente, consapevole - la possiamo infatti avere in modo subliminale, intuitivo, e può addiritttura riemergere nei sogni fornendoci informazioni inaspettate su una data persona: la psicologia e la psicanalisi documentano moltissimi casi di questo genere.
Volendo considerare la cosa da un punto di vista più mistico-filosofico, possiamo affermare che c'è una unità alla base dell'esistente, un legame fondamentale fra tutti gli esseri viventi e la vita stessa, tutti parte di un unico organismo tanto che ogni singola cellula o parte è in profonda relazione con tutte le altre e quindi, nella realtà, non esiste distanza o estraneità. E' per questo che, in fondo al cuore, se riusciamo ad andare in profondità, sappiamo ogni cosa degli altri. Il buddismo va ancora oltre e asserisce che perfino l'ambiente, le piante, le nuvole, gli astri, gli eventi sono in relazione con tutto il resto del mondo oggettivo e con gli esseri viventi o senzienti. Per riferirci alla pratica buddista, dobbiamo osservare che essa - in sé - è una ricerca di armonia con noi stessi e con tutto-quanto-esiste, e rappresenta una esigenza di pacificazione e di approfondimento interiore, un desiderio di andare oltre il conflitto e la separazione. Per ciò stesso essa esprime un profondo legame con l'unità della vita, verità fondamentale che va oltre le apparenze. Quanto più, attraverso la pratica, si entra in sintonia con questa armonica unità, tanto più la Vita stessa, la sua Legge Mistica, risponde, viene incontro, protegge, sostiene. Non si tratta di un favoritismo o della concessione imperscrutabile, dall'alto, di un dio esterno alla creazione e simile ad un sovrano o un padrone, quanto del risultato naturale della nostra ricerca di pacificazione e di realizzazione. La "fragranza interna" equivale, in fondo, al profondo desiderio di sostenere e proteggere la vita - cioè a compassione, cioè ad amore. La sincerità di questo desiderio fa si che la vita attivi in risposta - come fosse uno specchio delle nostre intenzioni - le sue funzioni protettive e compassionevoli.

lunedì, marzo 08, 2010

Non procrastinare


"Sulle Montagne Nevose vive un uccello chiamato Kankucho (="uccello-che-soffre-il-freddo") che la notte si lamenta, torturato dal freddo pungente, e decide che la mattina seguente si costruirà il nido. Ma quando si fa giorno, se ne dimentica e dorme riscaldato dai tiepidi raggi del sole del mattino. Così senza costruirsi il nido, continua a lamentarsi vanamente per tutta la vita.
Lo stesso è vero per le persone. Quando cadono nell’inferno e soffocano tra le sue fiamme, desiderano rinascere come esseri umani e giurano di rinunciare a tutto per servire i tre tesori e ottenere l’Illuminazione nella prossima vita. Ma, nelle rare occasioni in cui capita loro di rinascere sotto forma umana, i venti della fama e della fortuna soffiano violenti e la lampada della pratica buddista si spegne facilmente."
(da "Lettera a Niike", Scritti di Nichiren Daishonin, volume 4, pagine 245-6)
Quando ci troviamo nella sofferenza, nel momento stesso in cui affrontiamo problemi, malattie e quant'altro, ci ripromettiamo di praticare con decisione per affrontare con il giusto spirito le difficoltà e sconfiggerle. Sappiamo che gli eventi minacciano di soffocarci, che lo sconforto è in agguato e, ricordando la sensazione di coraggio, libertà e leggerezza che la recitazione di Nam-Myoho-Reng-Kyo può regalarci, desideriamo sederci davanti al Gohonzon e pregare. Poiché non sempre è possibile farlo immediatamente nel corso della giornata, decidiamo di praticare la mattina seguente, di dedicare l'indomani un pò più di tempo al Daimoku - proprio perché ne sentiamo il bisogno! Però, il giorno dopo, quando ci dobbiamo svegliare - magari alzandoci prima per avere la possibilità di praticare di più - non ce la sentiamo, e rimandiamo... A me capita. Mi dico: sono già stressato, perché aggiungere uno stress in più? In fondo è più saggio riposarmi, dormire, recuperare: così potrò affrontare meglio le cose! In effetti ciò è giusto e bisogna tenere conto della stanchezza, dei ritmi biologici, del bisogno di dormire. Il sonno è un grande terapeuta. Però è anche vero che, in certi periodi, le circostanze vanno affrontate con forza e disciplina: a volte è meno stressante fare uno sforzo fisico e disciplinare, piuttosto che trascinarsi nella vita con uno stato vitale basso, depresso o scoraggiato. Quando avvertiamo che il Samsara ci trascina via e che il fiume degli eventi esterni o interni ci allontana, per così dire, da noi stessi, allora io penso che sia meglio un atto di sfida, di coraggio, subito, qui-ed-ora, senza aspettare momenti migliori. Mi sembra che perfino un piccolissimo sforzo concreto per recuperare forza e serenità possa dare grandi risultati, spesso immediati. Già l'atteggiamento determinato di recitare Daimoku, anche se ci risulta difficile per vari motivi, anche se non riusciamo a sentire la "fede" necessaria, opera un sensibile cambiamento mentale, un mutamento che poi - lo sappiamo - si ripercuote sulle circostanze interne ed esterne. In fondo è semplice, è tutto qui: alzarsi (in tutti i sensi, anche metaforici) e praticare. Il resto viene dopo e... in forma migliore!

giovedì, dicembre 20, 2007

Aver fede nel Gohonzon.



"Questo Gohonzon è l'essenza del Sutra del Loto, l'occhio di tutte le scritture. E' come il sole e la luna nel cielo, come un gran re sulla terra. E' come il cuore di un uomo, come la gemma che esaudisce i desideri, come il pilastro di una casa."

(Scritti di Nichiren Daishonin, volume 7, pagina 245 - edizioni Esperia)


Il centro: Nichiren, in questo suo scritto, sta indicando il Centro e il suo simbolismo. Il centro di tutte le scritture, il nucleo del Cielo, della Terra, il centro dell'uomo - il suo cuore, quello del desiderio - l'esaudimento, il centro di una casa - il pilastro, la trave maestra... questo è il Gohonzon, che anche nel nome oltre che "oggetto di culto" significa essenza originaria. Certamente senza un centro la nostra esistenza è dispersa e frammentata, instabile, incomprensibile. Trovare il centro significa acquisire stabilità, orientamento, forza, ordine, comprensione. Tutte le religioni cercano questo nucleo e lo fanno in modo diverso. Il buddismo non teorizza in modo particolare su questo cuore delle cose e dell'uomo, non gli conferisce attributi, non lo personalizza. Cuore, pilastro, re, occhio, non sono attributi, bensì indicazioni, analogie. Il buddismo percepisce che c'è, lo indica quale possibile meta, quale esperienza accessibile all'uomo. Nichiren lo dipinge, lo scrive, traccia il suo mandala, il Gohonzon, che ne è la mappa simbolica. La mappa della vita stessa. Perché questo nucleo, questo centro, è la vita, è la Legge Mistica, è la realtà fondamentale.
Non è teoria, semmai è fede. La fede ce la fa intuire, la pratica ce la fa toccare con mano, con il cuore. In piccola o grande misura, con piccole o grandi illuminazioni, recitare Nam-Myoho-Renge-Kyo davanti al Gohonzon equivale a trovare il centro. Non quello di qualcun altro, non qualcosa di esterno. No: il proprio.

giovedì, dicembre 07, 2006

Disobbedienza.


"Diversamente da ogni altro caso, la disobbedienza ai genitori o al sovrano che proibiscono di praticare il Sutra del Loto è in realtà un atto di pietà filiale verso i genitori e si accorda con le preghiere del sovrano per la pace."
(Da: Gli scritti di Nichiren Daishonin, "Lettera a Jibu-bo", volume 9, pag. 223, ed. Esperia)

Credo che questa frase possa essere meglio compresa chiarendo cosa significa "pratica del Sutra del Loto". Da un punto di vista superficiale si allude all'insegnamento del Buddha Shakyamuni e alla sua osservanza, alla relativa pratica - quale, per esempio, quella sviluppata dal Maestro cinese Tien T'ai, che consiste in una serie di esercizi di meditazione. Più profondamente possiamo pensare che praticare il Sutra significhi recitare Gongyo e Daimoku, e sicuramente Nichiren intendeva questo, essendo Nam Myoho Renge Kyo il fulcro della sua dottrina e del suo insegnamento. Tuttavia credo che Nichiren volesse indicare soprattutto che la pratica in questione equivale a seguire la nostra vera natura, il nostro Sé, la nostra innata buddità, l'illuminazione che abbiamo dentro.
Se i nostri genitori, i maestri, oppure lo Stato nel quale viviamo (indicato nella frase citata dal "sovrano") ci impediscono di seguire noi stessi, la nostra natura profonda, allora - dice Nichiren - e solo allora siamo legittimati alla disobbedienza. Anzi, questa disobbedienza rappresenta una forma di obbedienza più alta e importante che una mera osservanza formale, perchè ha in sé il rispetto per una Legge più grande, universale. La pratica del Sutra del Loto, infatti, implica non soltanto l'adesione alle richieste del nostro vero io, ma anche l'armonia con gli altri, con l'ambiente, con la vita stessa. Questa armonia, poi, è proprio lo specchio, la cartina di tornasole per comprendere che pratichiamo nella giusta maniera e che, credendo di seguire la nostra vera natura, non ci stiamo invece impegnando in qualche modalità illusoria. In realtà non possiamo mai essere certi di "praticare il Sutra del Loto" correttamente una volta per tutte: è necessaria una continua attenzione, una vigilanza, una capacità di mettersi in discussione continuamente. La giusta pratica, in definitiva, consiste nel non adagiarsi mai su nessuna forma di sicurezza, su nessuna forma di autorità - sia nostra che altrui, ma essere sempre pronti a cambiare in piena consapevolezza e libertà.

mercoledì, novembre 15, 2006

Sulle preghiere.


"Può accadere che uno miri alla terra e manchi il bersaglio, che qualcuno riesca a legare i cieli, che le maree cessino di fluire e rifluire o che il sole sorga ad ovest, ma non accadrà mai che la preghiera di un devoto del Sutra del Loto rimanga senza risposta."
Dal Gosho: "Sulle preghiere" (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 9,pag.182-3 - Esperia)
La locuzione "devoto del Sutra del Loto" indica, in questo contesto, un seguace del buddismo insegnato da Nichiren Daishonin - e questo è il senso evidente, ma anche il più letterale e di superficie. Per andare più a fondo è necessario specificare che nella Tradizione orientale - e non solo - il Loto è un simbolo (inteso come percezione concreta di una realtà, di un ente che travalica i comuni termini concettuali) del Cosmo, dell'Ordine Universale e della Legge di Causa ed Effetto. "Sutra", oltre ad indicare un Testo o un insegnamento sapienziale del Budda, ha in sè il significato etimologico di "ordito, trama, intessitura". Il termine giapponese "Kyo" con il quale viene tradotto il sanscrito "Sutra" vuole anche indicare il suono. Ricordiamo ancora una volta come nella Tradizione il "suono" (sanscrito Shabda) sia sinonimo di Logos, di energia o idea creatrice alla base della manifestazione universale. "Sutra del Loto" dunque, tenendo presenti i significati esposti, allude al Cosmo e all'intenzione primaria che lo sostiene, alla Vera Entità, alla Legge Universale, all'Ente Supremo. Il devoto del Sutra del Loto, dunque, può dirsi un Iniziato, un Risvegliato o, in altre parole, un individuo dedito all'approfondimento dell'autoconsapevolezza, che percepisce la profonda unità che esiste fra lui stesso come individualità, gli altri esseri e la Vita, il Tutto.
La frase di Nichiren, secondo la mia interpretazione, vorrebbe esprimere questo: l'individuo sulla Via di Mezzo fonda il suo viaggio sulla Legge che va oltre le apparenze e basa la sua meditazione su di essa; ogni manifestazione universale non è che un fenomeno secondario rispetto a questa Legge, a questa Vera Entità. Per questo motivo i fenomeni possono cambiare e stravolgersi, possono essere imprevedibili o impermanenti, ma il legame con il Sè - ormai instauratosi nella pratica del "devoto del Sutra del Loto" - rimane immutabile, nulla può distruggerlo, perché si tratta del prodotto di una crescita coscienziale, di una evoluzione. La "preghiera" del devoto, inoltre, non essendo per ciò stesso vincolata al mondo delle apparenze, essendo una richiesta dotata di integrità e di apertura interiore, non può rimanere senza una risonanza profonda, non può non ricevere una risposta: il legame con l'Assoluto, alla base del concetto stesso di religio, non è mai a senso unico, perché quando l'individuo si volge sinceramente al Tutto, contemporaneamente il Tutto viene incontro all'individuo, come accade in uno specchio - lo specchio del Sè, del Vero Io.